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BAMBASCIONE

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Mentre ero intento a custodire orgoglioso la cintura nera donatami dal mio maestro quale suo personale augurio per la mia carriera di aikidoka, il sempre attento Archibald, l'impersrutabile figlio delle nebbie britanniche che mi ausiliava scorrendo le missive scaricate telematicamente, attirava la mia attenzione su una e-mail in cui il buon Roberto, protagonista insieme all'intrasferibile Simone ed al forse andato per sempre Stargate del primo, commovente incontro tarantino tra i membri di TarantoNostra che si svolse di fronte all'Orchidea, mi chiedeva lumi sul termine “ Bambascione ” Deposto il mio keikogi ancora intriso del sudore versato copioso sabato pomeriggio, eccomi scorrere veloce i miei tomi, cercando il recondito significato del termine proposto.

La creatività

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Un giorno Biwenabhirrha, il giaculante apprendista, chiese al Maestro di parlargli del potere evocativo della Raffo. Il Maestro gli raccontò di un uomo che sedeva tutte le mattine all'ingresso di una stazione. Capelli arruffati, barba lunga e incolta, vestiti sbrindellati, chiedeva l'elemosina ai passanti; qualcuno a volte si fermava e lasciava cadere qualche spicciolo nel suo cappello. Al termine di una giornata raccoglieva i pochi soldi e tornava al suo misero domicilio. Tutto quello che avrebbe voluto dire alla gente l'aveva scritto sul cartone di una scatola: "Mutilato dalla nascita". L'uomo, infatti, era privo di entrambe le mani.

e mameta è signorina

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Percorrevo a velocità abbastanza sostenuta la strada statale 106 “Jonica” con la mia Lamborghini Diablo al fine di verificare se i parametri di accelerazione e velocità massima riportati sulla sua scheda tecnica illustrativa corrispondessero a verità quando, approfittando della mia fermata dovuta ad un semaforo rosso, venni affiancato da una pattuglia della polizia stradale che stigmatizzò in maniera molto severa la mia condotta al volante. Di fronte alla evidente invidia del tutore dell’ordine per la differente cilindrata dei rispettivi autoveicoli, a nulla valsero le mie obiezioni che miravano ad evidenziare il carattere assolutamente sperimentale della mia azione, evidentemente scevra da qualsiasi implicazione egotisticamente narcisistica: Mi vidi così affibbiare una multa il cui importo era sicuramente superiore al prodotto nazionale lordo di più di un paese in via di sviluppo ed assai contrariato dalla ottusa pervicacia del poliziotto, commentai il suo rituale e sottilmente iron

Poche parole

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Un giorno Biwenabhirrha, l'accorto studente, chiese al Maestro quale fosse il significato della Raffo. Il Maestro gli raccontò di un importante ristoratore che, avendo un nuovo ristorante, voleva promuoverlo al meglio. Fuori della porta d’ingresso mise un cartello con scritto: "RISTORANTE DA CATALDO". Un amico, venuto a trovarlo per congratularsi, gli diede un importante consiglio: “ Dovresti specificare, nel cartello esterno, che in questo locale si fa della cucina eccellente. ” Impressionato dal consiglio, il ristoratore si mise ad inserire immediatamente la nuova scritta CUCINA ECCELLENTE. Un intellettuale, vedendo questa aggiunta, si permise di suggerire al ristoratore un’ulteriore modifica: “ Credo sia necessario specificare che tale cucina eccellente viene servita in questo ristorante! Per questo penso sia necessario aggiungere la scritta SERVITA QUI. ”

Coccara allessa e coccara vacante

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Mentre consultavo le “Meditationes de prima philosopia” di Cartesio, il buon Archibald, maggiordomo che oramai credo non abbia più bisogno di presentazioni, venne a chiedermi cosa a Taranto si intendesse con le frasi “coccara allessa” e “coccara vacante”. Una tale accorata richiesta meritava rapida soddisfazione e così mi sono recato nella mia modesta biblioteca per cercare le notizie necessarie ad esaudire tanta sete di conoscenza. L'uso della figura retorica della "coccara" (o "cocc'r", che è poi la noce, sia detto ad ausilio dei non tarantini) è assai antico e risale alla scuola filosofica di Mileto. Qui il noto Assabastone (Atene, 610 a. C. - Alass 530 a.C., giustiziato per aver chiamato Enea "Figlio di Troia") già discepolo di Anassagora, confuta sia l'individuazione dello "aperion" (da lui ironicamente storpiato in "Aperol") come primo movens dell'universo fatta da Anassimandro e nega anche che tale principio pos

Vuoto e forma

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Un giorno Biwenabhirrha, il mai pago escatologo, chiese al Maestro il significato del detto: "La forma è vuoto ed il vuoto è forma". Il Maestro gli rispose che di un recipiente noi vediamo la forma, ma è il suo vuoto che ne giustifica l’uso e quindi l’esistenza stessa. Prese così un secchio e lo riempì di grosse pietre, poi si volse verso i discepoli e disse: “ Secondo voi, il secchio è pieno o è vuoto? ” I discepoli risposero: “ Il secchio è pieno, o indefettibile Maestro! ” Il Maestro allora prese della breccia e la versò nel secchio, poi lo agitò finché questa non si infilò negli spazi vuoti tra le pietre.

Astipa a zampogna pe quanna abbisogna

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Oramai in preda alla mia incoercibile logorroicità decido unilateralmente (scusate la parolaccia!) di opprimere gli incauti lettori con la dettagliata analisi dell’espressione “ASTIPA A ZAMPOGNA PE QUANNA ABBISOGNA” (Conserva la zampogna per quando necessiterà ). A questo proposito il fine letterato nipponico Soshiutho Allajakka (Kioto, 1812 - Trampolino del Mon Reve, 1847) gran maestro di pirdi con l’eco e installatore provetto di carburatori maggiorati e marmitte senza silenziatore, così chiosava nella sua ponderosa opera “Spin d’rizze e jamme de caure - guida ad una alimentazione alternativa” - Ccefàm Editore:

A CCI JE FIGGHIE A JATTE, SCIURGE HA DA PIGGHIARE

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Di ritorno da una battuta di pesca al gabbione nelle tempestose acque di fronte a Punta Prosciutto, ristoravo le mie stanche membra di fronte allo scoppiettante crepitio del caminetto del salone dei trofei nell'ala nord-ovest della mia umile dimora, sorseggiando un bicchiere di Raffo seduto sulla mia poltrona di cuoio. Sfogliavo con nonchalance una copia del settimanale "Recente Colloquio", (una di quelle pubblicazioni a cui mi sono abbonato in un momento di autolesionismo psicologico) quando la mia attenzione è stata catturata dalla lettera di una lettrice, tale Clara Procarpe, che lamentava la eccessiva volgarità di un sito internet dedicato alla nostra Taranto. A tale reprimenda si associava un redattore della rivista stessa, rincarando la dose ed aggiungendo che la volgarità andava di pari passo con l'ignoranza di cui l'autore del sito sembrava a suo dire ben fornito.

La creatività

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Un giorno Biwenabhirrha, il giaculante apprendista, chiese al Maestro di parlargli del potere evocativo della Raffo. Il Maestro gli raccontò di un uomo che sedeva tutte le mattine all'ingresso di una stazione. Capelli arruffati, barba lunga e incolta, vestiti sbrindellati, chiedeva l'elemosina ai passanti; qualcuno a volte si fermava e lasciava cadere qualche spicciolo nel suo cappello. Al termine di una giornata raccoglieva i pochi soldi e tornava al suo misero domicilio. Tutto quello che avrebbe voluto dire alla gente l'aveva scritto sul cartone di una scatola: "Mutilato dalla nascita". L'uomo, infatti, era privo di entrambe le mani.

Rispettare u cane p’ù patrune

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Mentre apprezzavo compiaciuto l’estrinsecazione artistica di Manuela Arcuri riprodotta su un calendario che di certo avrebbe mandato in solluchero più di un camionista, il semper fidelis Archibald mi annunciò la visita tanto improvvisa quanto inopportuna di un giovinotto con un concetto di eleganza assai opinabile che, con un giro di parole contorto e adulatorio, chiese il permesso di usufruire di un paio di ettari del modesto parco che allieta la mia umile dimora per tenere un “rave party”. Ascoltai pazientemente l’adolescente e risposi che ben volentieri avrei esaudito la sua richiesta se non fosse stato per il timore che gli asfodeli ed i ranuncoli mal avrebbero sopportato tale trambusto, che sicuramente avrebbe nuociuto alla loro armonica crescita.

Ma ccè film è viste ?

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Un caro amico mi ha chiesto lumi in merito ad una espressione ascoltata casualmente e ho ritenuto di far cosa grata ai più rendendo di pubblico dominio l’analisi esegetica dell'espressione seguente. La frase ‘‘MA CCÈ FILM È VISTE?’’ ( Ma quale film hai visto? ) viene di solito impiegata in risposta ad un racconto dalle caratteristiche marcatamente improbabili o finanche impossibili ma che il nostro interlocutore vorrebbe farci credere essere assolutamente vero. Alla categoria appartengono racconti di copule plurime con più partner ed in svariate e fantasiose posizioni nell'arco di una singola nottata, restituzione di tasse e gabelle impropriamente percepite da enti pubblici, relate di promesse elettorali in genere, attraversamento di Taranto da Via Galeso a Viale Europa in dieci minuti netti alle ore 12,00 di un giorno feriale, nomina di Taranto come esempio di vivibilità et similia.

Culedde nò sapeva a funtanedde

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Mentre mi dedicavo ad ordinare la mia collezione di lepidotteri, custodita in un apposita dependance del mio modesto maniero (sapete com'è, le donne accettano sempre un invito ad ammirare una collezione di farfalle, anche se non ho mai capito perché si spoglino già davanti la prima vetrina) ascoltavo soprappensiero le ultime notizie riportate sull' "Herald Tribune" lette con voce stentorea da Archibald, il vecchio maggiordomo che da diversi lustri si prende cura della mia persona. Dopo aver appreso della diatriba tra i deputati e senatori riguardo a presunti sovvenzionamenti sottobanco di alcune formazioni politiche con annesse ristrutturazioni edilizie, acquisti di immobili all’insaputa del beneficiario e prestazioni amorose di procaci fanciulle di cui si ignorava la predisposizione eterica con il classico contorno di "non è vero, se è vero non c'ero, se c'ero dormivo, se non dormivo ero distratto dal decolleté della compagna seduta di fronte a me.&

Il tesoro

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Un giorno Biwenabhirrha, il solerte studente, chiese al Maestro cosa intendesse dire con il detto "La Raffo è per chi se la merita". Il Maestro gli raccontò allora di un uomo che abitava nei pressi del cimitero di San Brunone e che una notte si sentì chiamare da una voce che usciva da una tomba. Troppo pauroso per andare a vedere di persona che cosa fosse, l'indomani mattina raccontò l'accaduto a un amico. Questi, che era un tipo coraggioso, ebbe l'idea di andare la notte seguente al cimitero per sentire la voce.

Pisciaturo

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Mentre fumavo un “Montecristo” placidamente seduto in una delle poltrone che arredano la rest room del golf club che spesso frequento, ho involontariamente ascoltato una diatriba in cui uno dei presenti apostrofava “tout court” l’altro con l’appellativo di “pisciaturo”. Ovviamente colpito da questa palese mancanza di stile, ho aspramente biasimato il poco elegante exploit ma ho tratto spunto dalla cosa per approfondire la provenienza del termine.

Ci no' ssò fiche, so ficazze

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Ero accomodato sulla chaise-longue situata nel soggiorno dell'ala sud-sud-est della mia modesta dimora e sfogliavo distrattamente il catalogo rilegato in brossura della Lamborghini indeciso sul modello da acquistare questo mese quando un discreto bussare introdusse Archibald, il vecchio e fedele maggiordomo che da tempo immemore mi è di domestico ausilio, che mi portava su un vassoio d'argento la missiva di un amico lontano che mi interrogava sull’origine di “ Ci no’ ssò fiche sò ficazze ”. Lusingato dal leggermi chiamato in ausilio per l'ennesima volta, decisi di dare massima priorità alla accorata richiesta di consulenza del mio sodale e deposto il volume in corso di consultazione, interrogai il mio data base relazionale al fine di provvedere senza indugio a quanto richiestomi.

X Agosto

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Tornava un vastaso al tetto: inciampò e cadde tra nasse: portava, ancor non l'ho detto, tanta Raffo che tutti saziasse.   Ora è là, come in croce, che porge le Raffo a quel cielo lontano; ma è buio, nessuno lo scorge non qualcuno che gli dia una mano.   Ora là, nella casa romita, lo aspettano, aspettano invano: egli immobile, attonito, addita le Raffo al cielo lontano.   E tu, Cielo, dall'alto dei mondi sereni, infinito immortale, d'un pianto di stelle lo inondi quest'atomo opaco del Male!

CANADESE

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Ero comodamente seduto sulla chaise longue della camera da fumo ospitata nell'ala sud-sud-est della mia umile magione quando sentii entrare l'indefettibile Archibald, il gentiluomo britannico che si premura di rendere quanto più confortevole possibile la mia permanenza terrena. Notata la mia espressione accigliata il sempre attento Archie si premurò subito di accertare che il cognac V.V.S.O.P. che mi aveva recato qualche minuto prima fosse di mio completo gradimento; ottenuto il mio cenno di assenso si informò con la sua proverbiale discrezione in merito alla causa del mio malumore. Risposi sinceramente; ero contrariato per non conoscere l'etimologia, se non certa almeno probabile, del termine "canadese" riferito alle bottiglie di birra da 33 cl in libera vendita a Taranto.

Il pavone

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Un giorno Biwenabhirrha, l'ortodosso novizio, chiese al Maestro cosa si intendesse per " dedizione alla Raffo ". Il Maestro gli raccontò che un tempo lontano, all'interno della villa Xipa-tho, viveva un pavone. La voliera del pavone era di fronte ad un chiosco dove ogni giorno tantissime persone arrivavano, bevevano una Raffo ed andavano via contente. Un giorno d'estate che soffiava un forte vento, un mozzicone di sigaretta si avvicinò rotolando ad un ciuffo d’erba secca, la incendiò e da lì diede fuoco all'intera villa. Una gran confusione regnava fra gli uomini e gli altri animali terrorizzati. Il pavone vide gli avventori ed i camerieri del bar scappare come tutti gli altri, abbandonando il frigo pieno di Raffo.

JE COM' A PELL' D' A PIZZA

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La non improbabile presenza di lettrici di sesso femminile mi ha spinto a riflettere sull’opportunità di proporre quanto segue ma poi l’animo cozzaro ha avuto il sopravvento ed ecco una espressione un po’ hard che porto all’attenzione dell’inclito pubblico: “ JE COM’ A PELL’ D’ A PIZZA ” ( assomiglia alla pelle del pene ) che definisce una situazione che si svolge in maniera altalenante senza far prevedere definizioni a breve termine. Esempio:

PAMPANELLE, PAMPANELLE FRESCHE

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Come sappiamo, la pampanella fa parte delle nostre estati e spesso pensando al mare ed alle spiagge del nostro litorale, emerge dall’onda dei ricordi un venditore ambulante col suo canestro di vimini e la sua cantilena: “ Pampanelleeee, pampanelle frescheeeee ”. Ad ausilio dei bagnanti stranieri e non, riportiamo alcune note tratte dal saggio “ Pampanelle e Pampascioni - megghie le prime ca le seconne ” comprese nel libro di testo di Anna Grazia Copeta impiegato nel corso di economia domestica della 4^ classe dell’istituto tecnico femminile “Anna Fougez” di Taranto. “ La pampanella è il fiore della ricotta, essa trae il suo nome dalla foglia dell’albero di fico (pampana) in cui il latticino viene trasportato e servito ai clienti.

La Nuvola e la Duna

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Un giorno Biwenabhirrha, l'acuto discepolo, chiese al Maestro quale fosse il sacrificio più grande. Il Maestro gli raccontò la storia di una giovane nuvola che faceva la sua prima cavalcata nei cieli, con un branco di nuvoloni gonfi e bizzarri.      Quando passarono sopra a "Onda blu lido", le altre nuvole, più esperte, la incitarono: “Corri, corri! Se ti fermi qui sei perduta!”. La nuvola però era curiosa, come tutti i giovani, e si lascio scivolare in fondo al branco delle nuvole, così simile ad branco di cefali salterini.      “Cosa fai? Muoviti!”, le ringhiò dietro il vento.  

NÒ RUSCE E NÒ MUSCE

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Stavo terminando di ritrarre la modella samoana Eceje Tuttutuue in una serie di fotografie ispirate allo stile del grande Helmut Newton quando la mia concentrazione venne disturbata da Archibald che, porgendo un candido peplo alla fanciulla in modo da consentirle di coprire le sue procaci grazie, mi informò che il responsabile EDP addetto alla supervisione della rete intranet che cabla in fibra ottica tutti gli ambienti della mia modesta residenza era in agitazione a causa di un sospetto virus informatico. Dopo essermi rivestito anche io (quando fotografo preferisco non essere impacciato da camicie e pantaloni) chiesi maggiori dettagli sul problema e quando il vecchio Archie mi disse che il virus in questione era il temibilissimo “sulfnbk.exe” trattenni a stento un moto di stizza ed esclamai: " Ma ce stè dice, ca quidde fail nò rusce e nò musce! " (Ma cosa sta dicendo, quel file non ruggisce e non muggisce) lasciando il mio attempato collaboratore allibito, soprattutto per l

Zump’u citrule e vè ngule all’ortolane (dopo le notizie del "cetriolo killer" teutonico)

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Discutevo con il mio interior designer su quale tipo di illuminazione fosse più appropriata per ottenere la migliore resa cromatica della tela del Tiepolo che avevo acquistato per adornare l’ingresso al quarto piano della zona notte riservata agli ospiti che spesso mi onorano della loro presenza nel mio modesto abituro quando venni raggiunto dal sopraffino Archibald che, senza por tempo in mezzo, provvide a comunicarmi che l’avvocato Pandetta desiderava urgentemente incontrarmi e mi attendeva nel mio studio privato. Preceduto dal mio lesto maggiordomo raggiunsi il legale che mi informò che un mio vecchio beneficiato, a cui avevo concesso in enfiteusi una piantagione di fichi d’India al fine di permettergli di risollevarsi dalla condizione di abbrutimento fisico e morale in cui era sprofondato grazie alla infallibile medicina del lavoro manuale, evidentemente sobillato da alcuni cattivi consiglieri affermava di essere divenuto oramai proprietario per usucapione dell’appezzamento agricol

Abile linguista cercasi

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Nel riordinare la mia modesta collezione di incunaboli rari, mi è casualmente capitato sottomano un prezioso volume dal titolo “Le jeux de le couzzare” scritto dall’illustre pedagogo francese Jules-Sèbastien-Cesar Allourme (Condè-sur-Noireau, 1790 - Tafferugli seguiti ad anomalo rialzo durante l’asta dei “Misteri”, 1842) che spese il suo impegno nel recupero alla società di giovani figli di famiglie disagiate. Dalla pregevole opera ho ritenuto opportuno trarre alcuni giochi di parole comprensibili credo solo a noi tarantini. I calembour di seguito citati hanno tutti la particolarità di richiedere un proponente ed una “vittima” che segue le istruzioni del primo e “incappa” nello scherzo. GEOMETRIA SODOMITICA Viene proposto di tradurre in dialetto e ad alta voce la frase: ‘‘Dietro l’angolo manca il lato’’, che per la caratteristica nostrana di unire le parole tra loro diventa la confessione di un rapporto anale subito ( Ret’ all’angole manca u late ).

Peluscina

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Durante il quotidiano giro di ispezione dei miei residences estivi, facevo notare ad Archibald, il fedele maggiordomo che tanto ha a cuore la mia comodità, che le pulizie settimanali erano state condotte con biasimevole disattenzione, tanto che sotto alcuni armadi vi erano evidenti tracce di "peluscina "; salvo poi dover per l’ennesima volta constatare quanto limitata sia la comprensione del nostro idioma da parte dei nativi della brumosa Inghilterra, inconveniente che mi ha fatto ritenere opportuno fornire al vecchio Archie la spiegazione di seguito riportata. PELUSCINA (o PELUSCINE ): sostantivo femminile che indica formazioni micotiche e/o muffose, aventi consistenza simile a quella di un ciuffo di peli, da cui per analogia il nome.

PURE A MUGGHIERE D’U SINNACHE HA SCIVULATE

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Chiacchieravo sapidamente con Archibald, il mio indefettibile domestico anglosassone ed il tema del discorso scivolò sul commento del piccolo rinfresco che avevo offerto ai quasi trecento intimi amici che mi onorano della loro considerazione, approntato nel parco “Vanvitelli” della mia modesta magione per festeggiare la promozione dell’Arsenal Taranto. Con la sua estrema discrezione il vecchio Archie mi informò che uno degli invitati, persona di spicco tra le autorità presenti il cui nome taccio per carità di patria, invece di brindare “sursum corde” con la Raffo di ordinanza, aveva celebrato l’evento con una misera “Tourtel”. Rimasi basito di fronte a tale iconoclastia e quasi senza rendermene conto esclamai << Pure a mugghiere d’u sinnache ha scivulate! >> (Anche la moglie del sindaco è scivolata!), ricevendo subito dopo una silente richiesta di chiarimenti da parte di Archibald, che non riusciva a credere di dover includere tra le appartenenti al sesso femminile anche il

Quegghije l’acqua quanna chiove

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Un giorno Biwenabhirrha, l’anatocistico studente, domandò al Maestro a quali pericoli andasse incontro chi rifiutasse una Raffo. Il Maestro disse: “ Una volta un uomo sognò un angelo che gli disse: “domani inizierà uno sciopero ad oltranza dei distributori di bevande, il tuo villaggio soffrirà la sete, ma tu ti salverai ". Ed effettivamente il giorno dopo iniziò lo sciopero. Una squadra di soccorso andò di casa in casa per fornire generi di conforto agli abitanti, dato che era agosto e faceva molto caldo. Tutti accettarono le razioni di emergenza tranne l'uomo che disse: " Ho sognato un angelo che mi ha detto che mi salverò ". Il giorno successivo la sete iniziò a farsi sentire e una seconda squadra di emergenza arrivò per portare all'uomo bevande fresche ma quello rifiutò di nuovo perfino di starli ad ascoltare, dicendo che aveva ricevuto un segno da un angelo e che doveva mostrare al mondo la propria fede. Il terzo giorno la situazione diventò critica, l'

AME SCIUTE CU Ne LAVAME LA FACCIE E N’AME CICATE N’UECCHIE

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Stavo firmando la cinquantina di assegni salariali con cui stipendiare l’esiguo numero di collaboratori che si occupano delle faccende domestiche presso la mia poco pretenziosa dimora quando venni distratto dal fruscio delle calze di Margareth Pigeonsbite, statuaria addetta alla mia segreteria privata, che diede prova di estrema scioltezza delle giunture piegandosi a gambe tese ed unite per prelevare dal cassetto inferiore del raccoglitore posto di fronte alla mia scrivania l’incartamento che le avevo appena richiesto. Ero intento ad osservare che le pieghe della minigonna plissettata che indossava non venissero gualcite dalla acrobatica postura quando la Montblanc che impugnavo mi scivolò dalle dita rotolando sul tavolo e macchiando d’inchiostro la mia immacolata camicia.

U SOLE SPACCA LE FICHE, A LUNA LE MELUNE…

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Mentre sceglievo la frutta che avrebbe concluso il mio frugale desinare, mi è sovvenuto il detto: U SOLE SPACCA LE FICHE, A LUNA LE MELUNE E TU, CUMBARE MIE, ME SPACCHE LE CUGGHIUNE ( Il sole spacca i fichi, la luna i meloni e tu, mio caro amico, mi irriti alquanto ). Astolfo Menvò Impennando (Mondovì, 1788 - Trauma cranico e frattura pubo-coccigea riportati a seguito di "mishkata" su prisa di cane e successiva fatale perdita di aderenza col marciapiede di Via Aristosseno, 1826), agronomo noto per essere stato uno degli iniziatori della manipolazione genetica degli alimenti con l'ardito tentativo dell'innesto di gemme di limone sui pali del Mar Piccolo che trattenevano le zoche di cozze al fine di ottenere l'edule mitile già condito, fornisce di questo detto una sapida chiosa nel suo trattato "Dal finocchio alla fica: sinonimi ed eufemismi fisiognomici ispirati al mondo vegetale".

CA CCE U CAZZE JE CA TE CAZZE

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Volendo esporre sulla parete del mio fumoir “I girasoli” di Van Gogh, acquistato d’occasione presso un asta di beneficenza della mia parrocchia rionale, colpivo col martello l’indice che sosteneva il chiodo, procurandomi una vasta quanto dolorosa ecchimosi. L’episodio mi ha richiamato alla mente l’espressione: " CA CCE’ U CAZZE JE CA TE CAZZE, U CAZZE JE CA A ‘DDA’ CUNTE!" ( Il problema non è tanto nel fatto di essersi feriti quanto in quello di dover raccontare come è successo ). Per l’analisi del detto in questione ci viene in soccorrevole ausilio l’insigne accademico Johannes Kakamukatz (Frankfurth au Main, 1775 - esplosione della fabbrica clandestina di bombe da pesca al carburo presso il Mar Piccolo di Taranto, 1842), cavaliere emerito dell’ordine del gobbione al sugo e teorico dell’esercizio aerobico volto ad acquisire perizia e precisione nel drizzare coi glutei la naturale curvatura delle banane.

E a mam’se chiangeve

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Una delle antifrasi che spesso accade di ascoltare a Taranto è sicuramente “ E a mam’se chiangeve… .” ( e la madre piangeva... [si dispiaceva] ) seguita da una caratteristica (spesso fisica) diametralmente opposta a quella del soggetto dell’osservazione. Così un prosperoso decolleté verrà salutato con un “ E a mam’se chiangeve ca nò teneva menne! ” così come una persona dalla fin troppo fluente eloquio verrebbe notata con un “ E a mam’se chiangeve ca nò parlava maije ”. Il modo di dire fu oggetto di attenta analisi da parte dell’erudito saudita Addah Hauemmith (Rabat, 1935 – Ustioni riportate a causa della collisione con una medusa al largo di Castellaneta Marina, 1992) che per primo calcolò che le gobbe di un cammello possono mediamente contenere l’equivalente di due cartoni da 24x33cl di Raffo.

DA PATRUNE DE BASTIMENTE A VARC' AFFITTE

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Taranto è una città che sicuramente al mare deve molto e molte espressioni della saggezza popolare traggono spunto in un modo o nell'altro dal mare stesso. Tra queste va annoverata la nota: “ DA PATRUNE DE BASTIMENTE A VARC' AFFITTE ” ([ Passare dalla condizione di] padrone di un bastimento a [quella di] affittuario di una barca ).

E MÒ M'A TAGGHIE

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Propongo alla attenzione dei lettori una espressione ben nota e sovente usata nella nostra città, quando ci si deve “obtorto collo” arrendere all’evidenza, ovvero “E MO’ M’A TAGGHIE” (E adesso me la taglio!). Il motto rappresenta la stoica risposta di chi, ormai pressato e soverchiato dalle avverse circostanze, non potendo ribaltare a proprio favore la situazione contingente invoca orgoglioso il primato del libero arbitrio umano contro il fato cieco e cinico.