ATTACCA U CIUCCIE ADDO’ VO’ U PATRUNE

Venuto casualmente a conoscenza con qualche giorno di anticipo del forte apprezzamento che avrebbe subito sulla borsa di Tokyo il titolo della ditta Appoggio S.p.A. (spesso data per fallita nel corso degli ultimi anni) mi recai presso il mio broker di fiducia chiedendogli di acquistare per mio conto un paio di miliardi di azioni e consigliandogli di proporre altrettanto ai suoi clienti più affezionati.

Eseguita la operazione mi trattenni nel suo ufficio in attesa che il mio autista giungesse a prelevarmi ed ebbi modo di assistere alla telefonata con cui proponeva la stessa operazione ad un altro cliente, ricevendo da questo un fermo rifiuto.

Commentando il suo prossimo pentimento non potei fare a meno di esclamare: “ATTACCA ‘U CIUCCIE ADDO’ VO’ U PATRUNE” (Attacca l’asino dove vuole il padrone) salvo prendere atto che anche alla Bocconi l’insegnamento della lingua tarantina non ha il rilievo che merita e che al mio agente finanziario sfuggiva il significato della frase da me citata.


Per dissipare i suoi dubbi usai uno dei computer dello studio per collegarmi via internet ad www.amazon.com, una delle maggiori librerie virtuali oggi disponibili, ordinando con consegna immediata una copia del saggio “Metodologie comportamentali standard dei possidenti agricoli del tarantino” che riporta i risultati di anni e anni di ricerche compiute dal sociologo saudita Momhamèn Addhòman (Aynunah, 1911 - Sveglia improvvisa durante attacco di sonnambulismo acuto causata dal passaggio della banda musicale “Città di Ryhad” all’alba del 22 novembre 1989).


Ricevuto dopo pochi minuti il libro ordinato (potenza dell’e-commerce!) lo sfogliai rapidamente sino a trovare le informazioni che necessitavo, spiegando così al mio operatore di borsa che con l’espressione menzionata si usa commentare un ordine o una disposizione ricevuta da un superiore gerarchico ma che reputiamo di scarsa efficacia, inutile o addirittura dannosa.

M’honne ditte cu scrive tre vote ‘stù foglie, quanna pozz’fà do fotocopie!?!” (Mi hanno detto di scrivere per tre volte questo foglio, quando posso fare due fotocopie!?!) “E cci ha fà, attacche ‘u ciucce addò vò u patrone” (Che vuoi farci, attacca l’asino dove vuole il padrone).


L’origine del detto va senz’altro cercata nell’ambiente del latifondismo agricolo, in cui estese superfici terriere erano di proprietà di pochi benestanti.

Questi possidenti erano spesso orgogliosi e sprezzanti e pur contemplando la terra solo dall’alto del loro cavallo o del loro calesse, si piccavano di sapere come lavorarla meglio di chi quotidianamente la intrideva col proprio sudore.

Non è difficile immaginare la scena: il padrone che comanda di bardare l’asino come dice lui, le timide obiezioni del contadino, la superba replica del signorotto ed il rassegnato villano che obbedisce ed attende l’inevitabile azzoppamento del quadrupede.




Peccherebbe di superficialità però chi considerasse questo modo di dire come espressione della passiva accettazione degli eventi determinati da una autorità superiore (padrone, Fato, Dio) così come sarebbe un grave errore individuare in questo detto l’ennesima espressione del “cemenefuttismo” che a detta di alcuni tanto caratterizza la gens ionica.


Il motto invece esprime appieno la particolare filosofia del tarantino, di cui si fa cenno anche in altre parti della presente raccolta, il suo attendere confucianamente sulla sponda del Galeso, il suo non contrapporsi direttamente all’avversario/antagonista/interlocutore, il suo lasciare scorrere gli eventi in attesa dell’inevitabile quanto a volte prevedibile compimento.

Così egli di fronte all’errore non si ribella, non si erge tronfio su un piedistallo, non impone la sua verità ma modestamente asseconda l’altro, pazientemente accetta che questo sbagli perché si renda conto dell’errore e possa imparare da esso.

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