Do' vote ha essere dritte...


Ero sul modesto patio della mia umile residenza estiva di Blueshore intento a godere dei benefici effluvi degli stabilimenti limitrofi e ad ammirare la policroma illustrazione di un Ichthyocentaur riportata sul “Nomenclator Aquatilium Animantium. Icones Animalum Aquatilium in mari et dulcibus aquis degentium... per Conradum Gesnerun Tigurinum. Published by Cristhop. Froschoverus, Zurich 1560" quando venni raggiunto dall'allampanato Archibald, indefettibile maggiordomo di britannica schiatta, che sollecitò la mia presenza presso il ripostiglio che avevo testè richiesto di far svuotare del contenuto da alcuni nerboruti villici, consentendo loro, quale giusto compenso, di trattenere quanto avrebbero trovato di loro gradimento tra tutte le zagaglie da tempo immemore ivi contenute.
 
L'ispezione ebbe esito positivo; evidentemente il fatto che ogni oggetto rimosso passasse "ipso facto" nella loro disponibilità, aveva pungolato non poco gli autori della pulizia a non lasciare nella stanza neppure uno spillo. Volli fare loro i complimenti per l'ottimo lavoro svolto e chiesi ad Archie dove fossero gli improvvisati vastasi, il vecchio butler mi rispose che li aveva accompagnati in cucina, dove stavano consumando un piccolo spuntino per rifocillarsi dopo l'oneroso compito appena svolto.
Non potei fare a meno di notare che gli ospiti stavano gradendo in maniera assai evidente il "petit dejuner" improvvisato da Archibald, a cui chiesi cosa avesse mai offerto ai nostri inurbani commensali.

Con la flemma che sempre lo distingueva, Archie mi rispose di aver preparato un panino assai semplice ma non per questo meno gustoso, avente come base una baguette preparata secondo la esclusiva ricetta di Poilàne, celebre panettiere parigino, su cui aveva poi spalmato del burro non salato d'Echirè e della marmellata di ribes proveniente da Bar-Le-Duc, in Lorena, preparata con bacche che vengono bucate a mano con una penna d'oca per estrarne i semi mantenendo intatto il frutto, che viene poi fatto macerare, prima della cottura, in sciroppo di miele finissimo.
"E pizza - esclamai - ci credo ca quiste se stonn'a mangiane pure u piatte, honne capite subbite ca a stu' munne uno s'ha da da' da fa' quanna fatija a cunte sue e quanna mangia a cunt'de l'otre!" (Perbacco, non ho alcuna difficoltà a credere che i nostri ospiti abbiano alquanto gradito lo spuntino propostogli, costoro hanno sicuramente chiaro il principio che consiglia ad ognuno di essere particolarmente alacre quando lavora per il suo profitto e quando si ciba a spese altrui!).


La prima parte del mio commento lasciò perplesso Archibald, che credette che volessi stigmatizzare la mancata offerta, al posto del misero panino, di una ben più consistente focaccia e per meglio chiarire invece la seconda e più importante parte della mia frase proposi al canuto famiglio di raggiungermi in biblioteca dopo aver congedato i nostri sazi e satolli ospiti.

Qui, dopo una breve ricerca, recuperai il saggio di etnoantropologia economica di orientamento malthusiano "Ci a merd'era oro, a Tarde le piccinne nascevan' senza buche de cule" scritto con acuta introspezione psicologica dallo studioso giapponese Mamenato Nukyankony (Sendai, 31 febbraio 1896 - Ustioni riportate durante uno stage di pirobazia sui resti di un falò di mezzanotte in Gandoli, 15 agosto 1965) che nell'opera evidenzia la diretta correlazione tra scarsità di disponibilità economiche e aumento delle capacità di "problem solving" rivolte al soddisfacimento dei bisogni primari.

Nel saggio il Nukyankony, pur non distaccandosi completamente dall'ottica malthusiana ed ammettendo quindi l'esistenza di una serie di "conditio sine qua non" che di fatto limitano lo sviluppo economico e sociale della popolazione ionica, traccia una disanima attenta e precisa delle condizioni poste in essere dai tarantini per affrontare comunque questo gap di partenza. Prendendo in particolare spunto dalla fondamentale opera di divulgazione "Il Manuale di Zio Paperone" (Arnoldo Mondadori Editore, 1979) il Nukyankony ne fa l'esegesi ai profani e ricorda che “... soldino risparmiato, due volte guadagnato...” (pag, 123, op. cit.) e che quindi può equipararsi ad un profitto sia una entrata che una mancata uscita economica; quindi un florido peculio può essere accumulato sia con un diuturno impegno volto nel non trascurare nessuna occasione per acquisire un sia pur piccolo guadagno, “... ogni petra oza parete...” (pag. 258, ibidem) così come viene conservato da una accorta politica di risparmio delle spese e relativo trasferimento a terzi degli oneri del proprio sostentamento “... Paperi', pùrtate cu vuje ca mangiate cu nuje...” (pag. 98, ibidem).

Sulla scorta di quanto già evidenziato nel noto Essay on the Principle of Population as it Affects the Future Improvement of Society del 1798, il Nukyankony arriva quindi a spiegare cause e motivi della crisi economica tarantina; il progresso economico puo' essere raggiunto o “fatijanne a cunte proprie... accome quanna agghie accumugghicate a prima tonnellata d'oro ind'au Klondaic...” (pag. 53, ibidem) oppure “mangianne a cunte de l'otre, accome fazze ije quanna voc'a cena in campagna da soram'... (Nonna Papera, N.d.R.)...” (pag. 86, ibidem). Entrambe le possibilità non trovano compiuta attuazione in riva allo Jonio, da una parte il tarantino non lavora mai (anche quando crede di farlo) "pro domo sua"; a partire dall'Arsenale della Marina Militare per finire all'Italsider o ai grandi centri commerciali, il tarantino ha sempre agognato il "posto" più che il "lavoro", un posto che consentisse di attendere senza grandi patemi d'animo il fatidico "ventisette" ma che in cambio offriva salari striminziti a fronte di un impegno lavorativo che produceva guadagni incassati altrove. Il tarantino e' "prenditore" più che "imprenditore", crede di "prendere" al grande capitale, al "padrone" tanto esecrato quanto spesso distante, ma assai spesso assomiglia al cefalo che pensa di rubare l'esca al pescatore e non si rende conto che invece sta per abboccare all'amo, "prendendo" così altro ed altrove rispetto ai suoi progetti.
E se manca la capacità di produrre reddito a proprio vantaggio, è completamente assente anche la abilità di "mangiare" (in senso più o meno metaforico) a spese altrui; la prova la si può avere in qualunque occasione in cui uno o più nuclei familiari vengano invitati a pranzo o cena presso amici o parenti. il Nukyankony ha esaminato 476.898 casi, riscontrando l'esistenza delle seguenti fasi comuni:

1)    L'INVITO
        La padrona di casa (PdC) invita le amiche o parenti (AoP), sottolineando più volte di non portare niente che pensa a tutto lei. Bisogna a questo punto notare che tutta la conduzione di questa attività è di natura tipicamente femminile, non avendo i capifamiglia maschili praticamente nessuna voce in capitolo ne' di carattere propositivo ne' di carattere ostativo. Quand'anche l'eventuale proposta di invito venisse fatta dal rappresentante maschile, una indagine anche poco approfondita rivelerebbe subito l'input più o meno subliminale della moglie/compagna.

2)    L'ACCETTAZIONE
        Il rituale di invito è uno dei più complessi ed articolati tra quelli che regolano la vita sociale ionica e non è questa la sede adatta per affrontarne una disanima completa; basti però dire che all'atto dell'invito la risposta, positiva o negativa che sia, è già nota a tutte le parti in causa. Quando la Pdc emette l'invito sa già se a) la AoP accetterà o b) declinerà l'invito. Tutte le parti sono a conoscenza di ciò, purtuttavia l'nivito formale e le fasi seguenti fanno parte di un rituale che non può essere trascurato, pena le inenarrabili faide ed il perenne ostracismo che colpirebbero la sventurata che volesse viaggare border line rispetto alle consuetudini sociali.
        Premesso quanto sopra, all'atto della accettazione dell'invito, la PdC ricorderà ancora che prepara tutto lei, mentre ciascuna delle AoP che accettano l'invito ribatterà che comunque "porterà una cosetta, giusto per non venire a mani vuote".

3)    LA PREPARAZIONE
        Con congruo anticipo rispetto alla data/ora dell'incontro, sia la PdC che le AoP iniziano, ciascuna  per proprio conto, la preparazione delle varie portate che costituiranno il pranzo/cena. Pur nella estrema varietà del contributo di ognuna, il Nukyankony nel suo studio ritiene che questo possa essere stimato secondo la seguente formula.
        Cu = [(N x K) x RG]^4,876 dove:
        Cu = Contributo unitario di ciascuna delle cuoche impegnate (PdC e AoP) in KCal
        N = Numero dei commensali previsti
        K = Coefficente di sicurezza, dal valore oscillante tra 1,3 e 1,7
        RG = Razione giornaliera, consumata in privato dal commensale medio, in KCal

4)    L'EVENTO
        Un pranzo/cena che veda protagonisti due o più nuclei familiari tarantini ha in se qualcosa di epico. La PdC ha preparato le sue portate e via via che arrivano accoglie le AoP, sistemando alla meglio su tavoli, banchi e mensole varie le portate recate da ciascuna, commentando con frasi tipo “Mado', ti avevo detto che preparavo tutto io, perchè ti sei disturbata” e ricevendo risposta quali “Che disturbo e disturbo, che niente ho portato!”.
        Sistemate tutte le portate, definiti i posti a tavola, la PdC e le AoP procedono alla definizione del menù da servire, scoperchiando pendole, svellendo coperchi, slacciando mappine e stracciando provvidi fogli di alluminio che coprono teglie unte e casseruole bollenti.
        Le regole che sovraintendono a questa delicatissima fase sono note alle sole partecipanti e da queste gelosamente custodite al pari del terzo segreto della Madonna di Fatima; sono regole apprese ed affinate negli anni, sin da quando la giovine gentildonna tarantina viene ritenuta degna di accedere al "sancta sanctorum" della cucina e, strappata dal tavolo a parte che ospita i bambini in queste occasioni,  inizia il suo apprendistato venendo introdotta a ricette, pettegolezzi e tradizioni trasmesse oralmente dalla madre prima e dalla suocera poi. Stabilire l'ordine delle pietanze da portare in tavola richiede tatto e determinazione da parte di ognuna delle decision maker che danno il via ad una fitta trama di trattative diplomatiche che farebbero impallidire finanche l'assemblea generale dell'ONU.

        Tra le tante, la regola principale e fondamentale è: “Tutto deve essere assaggiato”, nessuna pietanza deve essere trascurata e di ogni pastasciutta, arrosto, intingolo o contorno ciascuno deve averne giusta e soddisfacente porzione, senza neppure provarsi di rifiutare l'ennesimo assaggio (fa naturalmente parte del rito, a tutti noto, lo schermirsi dicendo di essere sazi, excusatio che però ciascuno poi contraddice praticamente, pena la rottura di qualunque tipo di rapporto diplomatico tra la sua famiglia e quella della autrice della pietanza rifiutata).

5)    L'EPILOGO
        I risultati della quantità di cibo disponibile sono principalmente due: il trascinarsi del pranzo/cena sin quasi all'orario del pasto successivo e l'enorme disponibilità di cibo non consumato. E' a questo punto che, mentre gli uomini bevono il caffè, discutono di calcio o politica o guardano la TV, in cucina viene officiato un altro rito: quello della spartizione; ovviamente nessuna delle partecipanti può tornare a casa riprendendosi i resti di quanto da lei recato in precedenza, viceversa, di ogni pietanza rimasta vengono stabilite tante porzioni quanti sono i nuclei familiari presenti, porzioni che vengono poi poste in appositi contenitori che ne rendano agevole trasporto e conservazione. I pochi che hanno avuto la ventura di essere ammessi a codesta celebrazione narrano stupiti di florilegi di vaschette di alluminio, di antologie di vasetti ermetici, di interminabili processioni di stagnole e pellicole trasparenti; è la fiera della Tuppeware, è l'orgia del Domopak, è l'apoteosi della Frigoverre, è la santificazione della Bormioli.

        Per una ancora oggi inspiegabile anomalia della legge fisica che afferma che nulla si crea e nulla si distrugge, il volume ed il peso di quanto ognuno riporta a casa sono sempre superiori a quelle fornite in precedenza e richiedono alla PdC ed alle AoP un colpo d'occhio ed una capacità decisionale nella sistemazione all'interno di frigoriferi e congelatori tali far sembrare il capo settore logistico della filiale di Los Angeles della Federal Express poco più abile di un principiante di Tetris.

Alla luce di quanto appena evidenziato, il Nukyankony dimostra che ogni volta che il tarantino medio mangia (apparentemente) a spese altrui, questi contribuisce invece alla pantagruelica abbuffata subendo un salasso economico che pone in seria crisi il suo bilancio familiare. A questa amara verità non sfuggono neppure quei pranzi/cene a cui si è invitati in occasione di battesimi, comunioni, cresime, matrimoni poichè la ricchezza del banchetto di cui si gode è sempre inferiore alle spese dirette (regalo) ed indirette (abbigliamento, parrucchiere, lavaggio auto, viaggi e spostamenti) che si subiscono per parteciparvi.
La pragmatica impostazione nipponica del Nukyankony non riesce a tacere una maldissimulata condanna del popolo tarantino che, pur conoscendo le motivazioni strutturali e congiunturali del suo mancato sviluppo e pur avendo mezzi e know how per porvi rimedio, non sa o non vuole uscire dal cul de sac della sua condizione; ciò che sfugge alla comprensione del Nukyankony è in sintesi proprio l'esprit del tarantino, che sacrifica sè stesso alla ricerca del bene universale e che, conscio della propria umana fallibilità, indica ad altri la strada del benessere ammonendoli con un esplicito: “Fa cio' ca te diche e no' fa cio' ca fazze!”.

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