L’CORNE D’U PEZZENTE SO’ DE NUCE, QUERE D’U SIGNORE DE VAMMASCIE
Ero intento ad eseguire la sequenza del “san ju ich no jo kata” nella stanza d’armi ubicata nell’ala sud-sud-ovest della mia modesta abitazione, quando dalla finestra aperta colsi brani di un alterco che si svolgeva nel giardino.
Chiesi ad Archibald di dettagliarmi su questo spiacevole episodio che aveva distratto la mia concentrazione marziale ed il mio allampanato maggiordomo ritornò dopo qualche minuto per informarmi con una discreta allegoria che il giardiniere rimproverava alla consorte di disdegnare l’esile tralcio di vite che egli recava come dotazione virile, preferendo soddisfare il suo “pollice verde” accudendo giovani e robusti rami di quercia incontrati in locali di assai dubbia moralità da lei frequentati.
Apprezzai la sottile parafrasi adottata dal sempre riservato Archie e commentai l’accaduto esclamando “L’CORNE D’U PEZZENTE SO’ DE NUCE, LE CORNE D’U SIGNORE DE VAMMASCIE” (Le corna del pezzente sono di noci, quelle del signore di bambagia); per l’ennesima volta la perplessità si evidenziò sulla solitamente marmorea espressione del britannico custode ed ancora una volta decisi di prodigarmi nell’accrescere la sua conoscenza della filosofia tarentina.
Ci recammo insieme nella biblioteca, da dove prelevai “Vita di una donzella – Cè n’agghie viste de cazz’d’rrè”, romanzo autobiografico che racconta gli episodi salienti della pluriennale attività di concubinato con il re Luigi XIV della granduchessa francese Sophie Morceau de Poisson (Avignone, 1598 – Trauma cranico causato da uno straordinario fuoricampo effettuato dal visconte Jean Luc d’Auantumotout durante un torneo di “spizzidde” nei giardini del castello di Versailles, 1645), balzata agli onori della cronaca per la sua partecipazione alla commedia lolitesca “Il tempo delle pere” che, con grande scandalo dei benpensanti di allora, descriveva i primi turbamenti adolescenziali della protagonista e le sue tante esperienze erotiche come se fossero raccontate dalle sue ghiandole mammarie.
Nell’opera di memorie la granduchessa non manca di far notare, con un non troppo dissimulato disdegno di casta, che le persone di basso ceto hanno la volgare abitudine di mettere in piazza i loro problemi e le loro disgrazie, mentre le persone alto lignaggio affrontano le offese del fato con discrezione e riservatezza.
Le corna del popolo è come se fossero di noce e producono un forte rumore non appena cozzano tra loro, mentre quelle degli aristocratici sono di ovatta, ed anche se scosse con forza non producono alcun suono.
Vale la pena di notare che con il termine “corna” non si intende esclusivamente l’esemplificazione di un rapporto fedifrago ma un qualsiasi episodio che abbia comunque valenza negativa, dall’incidente automobilistico alla denuncia per ubriachezza molesta.
A seguito dei moti rivoluzionari l’espressione assunse un diverso significato, che è poi quello con cui è più spesso usata al giorno d’oggi, ovvero mentre un reato e/o una infrazione commessa da un poveraccio vengono duramente stigmatizzati e portati alla universale conoscenza, lo stesso non avviene se l’autore del reprensibile gesto è un influente personaggio.
Il detto in esame commenta quindi la pubblicità data all’arresto di un giovane proletario sorpreso con qualche grammo di hashish mentre viene discretamente messo a tacere il ritrovamento di ingenti dosi di cocaina nella Ferrari di un rampollo della buona borghesia, così come si presta a stigmatizzare lo sdegno morale suscitato dalla scoperta dell’adulterio di una comune massaia mentre la stessa deplorazione non segue il disinvolto cambio di partner da parte di attrici o grandame del jet-set.
Chiesi ad Archibald di dettagliarmi su questo spiacevole episodio che aveva distratto la mia concentrazione marziale ed il mio allampanato maggiordomo ritornò dopo qualche minuto per informarmi con una discreta allegoria che il giardiniere rimproverava alla consorte di disdegnare l’esile tralcio di vite che egli recava come dotazione virile, preferendo soddisfare il suo “pollice verde” accudendo giovani e robusti rami di quercia incontrati in locali di assai dubbia moralità da lei frequentati.
Apprezzai la sottile parafrasi adottata dal sempre riservato Archie e commentai l’accaduto esclamando “L’CORNE D’U PEZZENTE SO’ DE NUCE, LE CORNE D’U SIGNORE DE VAMMASCIE” (Le corna del pezzente sono di noci, quelle del signore di bambagia); per l’ennesima volta la perplessità si evidenziò sulla solitamente marmorea espressione del britannico custode ed ancora una volta decisi di prodigarmi nell’accrescere la sua conoscenza della filosofia tarentina.
Ci recammo insieme nella biblioteca, da dove prelevai “Vita di una donzella – Cè n’agghie viste de cazz’d’rrè”, romanzo autobiografico che racconta gli episodi salienti della pluriennale attività di concubinato con il re Luigi XIV della granduchessa francese Sophie Morceau de Poisson (Avignone, 1598 – Trauma cranico causato da uno straordinario fuoricampo effettuato dal visconte Jean Luc d’Auantumotout durante un torneo di “spizzidde” nei giardini del castello di Versailles, 1645), balzata agli onori della cronaca per la sua partecipazione alla commedia lolitesca “Il tempo delle pere” che, con grande scandalo dei benpensanti di allora, descriveva i primi turbamenti adolescenziali della protagonista e le sue tante esperienze erotiche come se fossero raccontate dalle sue ghiandole mammarie.
Nell’opera di memorie la granduchessa non manca di far notare, con un non troppo dissimulato disdegno di casta, che le persone di basso ceto hanno la volgare abitudine di mettere in piazza i loro problemi e le loro disgrazie, mentre le persone alto lignaggio affrontano le offese del fato con discrezione e riservatezza.
Le corna del popolo è come se fossero di noce e producono un forte rumore non appena cozzano tra loro, mentre quelle degli aristocratici sono di ovatta, ed anche se scosse con forza non producono alcun suono.
Vale la pena di notare che con il termine “corna” non si intende esclusivamente l’esemplificazione di un rapporto fedifrago ma un qualsiasi episodio che abbia comunque valenza negativa, dall’incidente automobilistico alla denuncia per ubriachezza molesta.
A seguito dei moti rivoluzionari l’espressione assunse un diverso significato, che è poi quello con cui è più spesso usata al giorno d’oggi, ovvero mentre un reato e/o una infrazione commessa da un poveraccio vengono duramente stigmatizzati e portati alla universale conoscenza, lo stesso non avviene se l’autore del reprensibile gesto è un influente personaggio.
Il detto in esame commenta quindi la pubblicità data all’arresto di un giovane proletario sorpreso con qualche grammo di hashish mentre viene discretamente messo a tacere il ritrovamento di ingenti dosi di cocaina nella Ferrari di un rampollo della buona borghesia, così come si presta a stigmatizzare lo sdegno morale suscitato dalla scoperta dell’adulterio di una comune massaia mentre la stessa deplorazione non segue il disinvolto cambio di partner da parte di attrici o grandame del jet-set.
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