Sampdoria
Dovendo provvedere al rifornimento mensile del mio angolo bar, mi punse vaghezza di chiedere ad Archibald quale fosse il suo liquore preferito, domanda a cui il mio eburneo maggiordomo rispose patriotticamente esaltando il corposo sapore del whisky prodotto nelle highlands scozzesi; non potetti che compiacermi per la scelta ma, mentre mi apprestavo a pitteggiare anche le gradevoli doti di alcuni bourbon a stelle e strisce, un giovine garzone, evidentemente memore del recente servigio reso alla Patria, si lanciò in una accorata lode del cordiale preparato dall’Istituto Farmaceutico Militare di Firenze e servito, ai miei tempi, in bustine di plastica trasparente per consentire alla truppa di basso grado di affrontare, confortata nel corpo e nello spirito, le fredde notti invernali e le lunghe marce campestri.
L’inopportuno e tracotante intervento mi ricordò l”hybris”
umano così magistralmente descritto nelle opere di Eschilo e mi spinse a
rispondere “U cordiale?!? Ma cu ccì vè, cu a Sambdorie?!?” (Il cordiale?!?
Ma per chi tifi, per la Sampdoria?!?).
Il risultato della mia frase fu un silenzio assoluto; il
novizio indiscreto si allontanò a capo chino, il vecchio Archie rimase a
fissarmi, chiedendosi che cosa avesse da spartire la Sampdoria con le
acquaviti.
Ancora una volta mi assunsi il compito di quadrare il
cerchio rendendo intelleggibili ad uno squadrato britanno le impercettibili
sfumature che caratterizzano l’anima magnogreca e, senza por tempo in mezzo,
prelevai dalla mia biblioteca l’incomparabile saggio “Borgo Dio e Porta
Madonna: l’iconoclastia blasfema nella toponomastica cittadina”, redatto con
puntuale perizia dall’erudita franco-russa Nakasha Detraule (Sverdlovsk, 1856 -
Embolia subacquea durante i rilievi del bhantos sessile e vagile del fiume
Galeso, 1898).
Nell’opera da me consultata la Detraule cita l’espressione
come tipica nell’esprimere al nostro interlocutore la doglianza di constatarne
il comportamento assai discutibile ed noi avverso, mentre lo reputavamo invece
solidale con le nostre ragioni.
Colui che parteggia per la Sampdoria a Taranto è quindi il
classico “amico del giaguaro”, una persona che con obiezioni spesso capziose e
prese di posizione tanto ostinate quanto prive di fondamento, si ingegna a
mettere insistentemente in discussione atti o pronunciamenti da noi espressi e
che, al pari di un teorema geometrico, riteniamo di indiscutibile essenza
(percorrenze casello - casello al fulmicotone, dongiovannesche copule multiple,
concezioni dell’ordinamento statale e sociale, formazione calcistica ideale per
vincere la coppa del mondo e quant’altro).
Sul perché venga usata la Sampdoria non vi sono dati certi
ma solo ipotesi; in particolare la Detraule ricorda che detta squadra era ed è
una delle espressioni calcistiche della città di Genova, con cui Taranto ha
sempre avuto un rapporto di amore-odio, culminato con l’insediamento in riva
allo Ionio del IV centro siderurgico, la cui direzione è rimasta, sino a pochi
anni fa, saldamente abbarbicata nella città della lanterna.
Così tante aziende che a Taranto avevano il braccio operativo
e fruttuoso a Genova avevano la mente speculativa e apparentemente parassita,
ed era quindi ovvio che negli anni delle lunghe ed aspre rivendicazioni
sindacali che partorirono perle poetiche di rara bellezza quali “Come mai, come
mai / sempre in culo agli operai” e “Come è stato, come è stato / pure in culo
all’impiegato”, degne di esser ospitate in qualunque antologia al pari dei
delicati haiku giapponesi, in quegli
anni dicevamo, chi non era contro l’una era sillogisticamente schierato a
favore dell’altra parte.
Ad individuare la Sampdoria come controparte ideale ha
senz’altro contribuito una comune scelta rosso-blù dei colori sociali come
qualche intensa tenzone calcistica dove i tifosi sugli spalti hanno voluto
eguagliare il combattivo spirito agonistico dimostrato dai ventidue presenti
nell’agone pedatorio.
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