Ci no' ssò fiche, so ficazze


Ero accomodato sulla chaise-longue situata nel soggiorno dell'ala sud-sud-est della mia modesta dimora e sfogliavo distrattamente il catalogo rilegato in brossura della Lamborghini indeciso sul modello da acquistare questo mese quando un discreto bussare introdusse Archibald, il vecchio e fedele maggiordomo che da tempo immemore mi è di domestico ausilio, che mi portava su un vassoio d'argento la missiva di un amico lontano che mi interrogava sull’origine di “Ci no’ ssò fiche sò ficazze”.
Lusingato dal leggermi chiamato in ausilio per l'ennesima volta, decisi di dare massima priorità alla accorata richiesta di consulenza del mio sodale e deposto il volume in corso di consultazione, interrogai il mio data base relazionale al fine di provvedere senza indugio a quanto richiestomi.



Vi è subito da dire che l'espressione è assai usata nell'area jonico-murgese e rappresenta il caso tipico di alternativa apparente ma non reale, poiché i due termini del confronto sono sinonimi che rappresentano poi la stessa cosa; quello che viene espresso in italiano con "se non è zuppa è pan bagnato", tanto per intenderci, mediato in dialetto con l'uso di un frutto tanto caro ai nostri avi per il suo gusto (e non solo).
Sostanzialmente viene proposta una alternativa che esiste solo teoricamente (un po’ come quelle rappresentate dalle scaramucce tra mamma e figlio in merito alla scelta della merenda rappresentate durante lo spot pubblicitario di una nota marca di prodotti dolciari da forno).
In sintesi o sono fichi o sono fichi, non c'è praticamente differenza.

Non è inutile sottolineare che in questo detto viene espressa tutta la filosofia tarantina che non si oppone mai all'interlocutore in maniera diretta, che sfugge lo scontro frontale ed evita il "muro contro muro".
Sono infatti a noi sconosciuti i "O ti mangi la minestra o salti dalla finestra" (o scegli quello che voglio io o peggio per te) tanto quanto "Passare dalla padella alla brace" (fare una scelta peggiorando la propria situazione); nel caso in esame la situazione rimane neutra, in pareggio, nessuno perde e nessuno vince, ergo, nessuno si incazza e siamo tutti felici e contenti.
Vale sottolineare un episodio che si collega a quanto detto e riportato dall'economista eritreo Humè Mhapajà Nukafè (Massaua 1911 - Congestione dovuta al bagno nel Tecazzè dopo megamangiata di riso, patate, cocuzza e antilope, 1969) che studiò la teoria delle code nei flussi delle autovetture che si succedevano in sosta sul parcheggio di piazza della Vittoria.
Il Mhapajà Nukafè riporta nel suo volume "Teorie di marketing avanzato e tecniche di Leverage-buyed-out applicate alle contrattazioni commerciali del mercato di piazza Marconi - A case history" questo esempio illuminante della prontezza di risposta pungente e maliziosa delle nostre figlie di Eva.

Presso un punto vendita di abbigliamento e intimo femminile una matrona vecchia di età ed onusta d'esperienza chiede al responsabile commerciale dell'esercizio il prezzo di alcuni articoli in esposizione:
Zilata (Z): “U mè, quanta venène ste cinche pare de mutande?” (Quanto costano queste cinque paia di mutande?)
Venditore (V): “Vintcincmilalire, signò” (Venticinquemilalire, signora).
Z: “E ‘sta gonna?” (E questa gonna?)
V: “Quinncmilalire, signò” (Quindicimilalire, signora).
Z: “Me, no’ ffà accussì, nò me live qualchecosa...” (Su, non fare così, toglimi qualcosa [fammi uno sconto])
V: “Vabbè signò, te pozz' fa a gonna e l’mutande a vintmilalire l'une” (Va bene, possa fare la gonna e le mutande a ventimila lire l’una).
Z: “E ccè facime, m'è azate a gonna e mmè ‘basciate l'mutande!” (E che facciamo, mi hai alzato la gonna e abbassato le mutande!).

Si noti la malizia della zilata che quasi subliminalmente comunica all'addetto alle vendite di aver ben compreso di essere stata vittima di un tentativo di sodomia commerciale (mi alzi la gonna, mi abbassi le mutande e me la metti in cu10) parafrasando l'atto della trattativa come se fosse stato fisicamente eseguito quale indispensabile prologo ad una copula contronatura.
L'ipotesi di riallineamento dei prezzi è invece un classico esempio di "fiche e ficazze" in cui alla fine l'importo della trattativa rimane identico a quello iniziale a dispetto dell'apparente revisione prezzi.

Per dovere di cronaca riportiamo inoltre una originale interpretazione dell'espressione in esame, che il giornalista ucraino Andreji Coimaskj (Minsk,1893 - Asfissia dovuta all'ingresso presso la pizzeria "La Livornina" senza gli indispensabili dispositivi di respirazione meccanica assistita, 1939) fornì all'attento uditorio che partecipò al convegno "Tamponamenti, scontri frontali e testacoda: la terminologia automobilistica applicata alla cronaca erotica come effetto collaterale dell'affissione dei calendari di femmine alla nuda nella quasi totalità delle officine meccaniche" organizzato dalla F.I.C.A. (Federazione Italiana Carrozzieri Arrapati) presso la sala "Vanessa del Rio" dell' Hotel Edelweiss di Taranto.

Nella sua prolusione intitolata "Andare contromano - esperienze di masturbazione omosessuale", il Coimaskj fa accenno alla espressione di cui alla presente, attribuendole una origine assai più recente, collocata nel periodo in cui viale Virgilio cominciò ad essere frequentata anche da travestiti e transessuali.

Il Coimaskj afferma quindi che una coppia di amici passeggiava per la detta via ed uno, che mancava dalla zona da parecchi anni, chiese all'altro chi fossero quelle donne che stazionavano sui marciapiedi; con l'ermetismo ed il taglio salace che contraddistingue a volte i commenti tarantini, sembra che l'amico rispose: “Ci no’ ssò fiche (cioè donne piacenti e disponibili, ergo zoccole) so ficazze” (originale contrazione tra i due termini "fiche" e "cazzi" quindi fiche con i cazzi, ovvero travestiti).

Questa interpretazione non ha incontrato il favore degli studiosi, anche perché darebbe del detto una versione assolutamente contraria all'accezione comunemente conosciuta ma l'abbiamo riportata perché vero o meno che sia l'episodio che secondo il Coimaskj l'ha originata, questo è senz'altro un illuminante esempio del dissacrante spirito con cui il tarantino si rivolge al mondo che lo circonda, osservato con occhio realista ma mai cinico da parte di chi comunque commenta: “Nuje? ce ne vulime d vuje!!!”

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